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Fivet

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brookepdavis
view post Posted on 11/3/2009, 13:21




è utilizzato per definire una tecnica di procreazione assistita tra le più comuni: si tratta di una fecondazione in vitro dell'ovulo con successivo trasferimento dell’embrione così formato nell’utero della donna.
comporta l'ottimizzazione del processo ovarico, e non è influenzata da alcuna malformazione dell'apparato genitale femminile, fornendo i medesimi risultati in tali casi. Ha una probabilità di gravidanza del 18% dei cicli ovulatori femminili e tre quarti di queste arrivano al parto.
E' sempre più utilizzata per l'infertilità maschile, associata all'inseminazione artificiale con sperma di donatore. Permette di congelare gli embrioni in eccesso che, una volta soddisfatto il desiderio procreativo della coppia genitrice, possono essere donati ad altra coppia sterile.
La procedura non è esente da rischi. Le emorragie e le infezioni sono rare. La somministrazione di ormoni alla donna comporta effetti quali aumento ponderale, vertigini, nausea, vomito, dolori addominali, nel breve periodo. Può indurre una sindrome d'iperstimolazione, che necesita a volte il ricovero. Possono inoltre essere possibili effetti tumorigeni precipitosi, qualora sia presente una formazione tumorale sensibile. Infine, gli ormoni utilizzati possono dare effetti collaterali, non legati, cioè, alla risposta medesima.
Si considera l'impianto di non più di tre embrioni, per un giusto equilibrio tra probabilità di gravidanza e rischio di gravidanza multipla. Le gravidanze multiple sono il 28% delle gravidanze con FIVET e sono da considerarsi patologiche per madre e prole
Procedura:
Di seguito viene riportata una riduzione divulgativa e a carattere generale delle diverse procedure (Protocolli) adottate per la FIVET. In alcuni Paesi, tra i quali l'Italia, la legge prevede delle limitazioni anche notevoli a tali procedure (per maggiori informazioni vedere il paragrafo Legge 40/2004).

La procedura si divide nelle seguenti fasi:

Alla donna vengono somministrati per via intramuscolare o sottocutanea dei farmaci (gonadotropine) finalizzati all'iperovulazione cioè allo sviluppo di più follicoli e quindi di un numero maggiore di cellule uovo (nel ciclo spontaneo ne viene prodotta di solito una sola), di modo che possa essere prelevato un numero maggiore di ovociti. La paziente viene sottoposta ad un monitoraggio teso a individuare il momento adatto a condurre a maturazione gli ovociti (ad esempio con la somministrazione di gonadotropine corioniche). Si procede quindi all'aspirazione ecoguidata dei follicoli, al fine di recuperare gli ovociti maturati.
Il liquido follicolare viene esaminato in laboratorio e ne vengono recuperati gli ovociti ritenuti idonei alla fecondazione in base alla sola osservazione morfologica degli stessi, eseguita al microscopio. I gameti, cioè il seme maschile e l’ovocita della donna, vengono collocati insieme in un apposito recipiente affinché uno spermatozoo penetri nell’ovocita. Vengono a volte utilizzate delle tecniche di fertilizzazione assistita come l'ICSI (Intracytoplasmatic Sperm Injection, o iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), tramite la quale lo spermatozoo viene iniettato direttamente nel citoplasma dell'ovocita.
L’embrione così formatosi viene introdotto in utero per via vaginale, normalmente entro 72 ore, nella speranza che si annidi, cioè che “metta radici” nella mucosa uterina (endometrio) e possa ricevere dalla donna alimento, calore ed energie per continuare a svilupparsi.
Le percentuali di successo sono influenzate da molti fattori:

la risposta da parte della donna alle terapie: in molti casi non viene prodotto un numero sufficiente di follicoli ed è quindi necessario ripetere la terapia con dosaggi diversi;
la presenza di ovociti nel liquido follicolare: in alcuni casi gli ovociti non sono maturi e fecondabili o sono assenti;
il grado di maturazione degli ovociti prelevati;
la fertilità della paziente, che è molto influenzata dall'età;
Le percentuali di successo di questa metodica sono, pertanto, estremamente variabili.

Per aumentare le percentuali di successo viene utilizzato il metodo di trasferire nell’utero un numero multiplo di embrioni valutato di caso in caso in modo da raggiungere un compromesso tra le probabilità di successo e il rischio di gravidanze plurigemellari; generalmente vengono trasferiti, ove siano disponibili, non più di tre embrioni. Le linee guida della ESHRE (European Society for Human Reproduction & Embryology) suggeriscono di impiantare non più di due/tre embrioni. L'introduzione della definizione di un numero massimo di embrioni impiantabili tende a prevenire gravidanze plurigemellari le quali presentano nella grande maggioranza dei casi notevoli rischi sia per la salute della donna, sia per quella dei nascituri. Prevenendo a monte l'insorgere di una gravidanza plurigemellare a seguito di una procreazione medicalmente assistita (PMA), si evita inoltre il dover ricorrere, come avveniva talvolta in passato, a tecniche d'emergenza quali la “riduzione embrionaria”, non sempre in grado né di garantire il proseguimento della gravidanza, né di salvaguardare la salute della donna. La riduzione embrionaria, solitamente eseguita nell'ottava settimana di gravidanza, prevede l'induzione della morte di un embrione (o più) inniettando direttamente nel suo cuore, attraverso la parete addominale materna, un farmaco (generalmente cloruro di potassio) che provoca l'arresto cardiaco. La morte dell'embrione dovrebbe provocarne l'eliminazione e garantire la sopravvivenza di quello (o quelli) rimasti. Tuttavia, in diversi casi, l'operazione ha condotto ad una completa interruzione della gravidanza e ad infezioni a carico della donna, con notevoli rischi sulla sua futura capacità di procreare.
Poiché l’iperstimolazione gonadotropinica che potrebbe insorgere a seguito delle tecniche tese a innescare l'iperovulazione presenta notevoli rischi per la salute della donna e il successivo prelievo di ovociti è comunque un piccolo intervento chirurgico poco gradevole, si cerca di ottenere in un solo ciclo il massimo numero possibile di ovociti, i quali vengono fecondati tutti e poi trasferiti in utero - se ve ne sono di adatti - solo alcuni, mentre - laddove ne siano disponibili - vengono conservati gli altri in vista di eventuali ulteriori tentativi. La conservazione viene effettuata congelando gli embrioni a 196 gradi centigradi sotto lo zero (crioconservazione), con uso di azoto liquido.
Fino ad oggi non sono sufficientemente sviluppate tecniche tese a congelare e quindi scongelare gli ovociti senza interferire negativamente e in modo significativo sulla loro vitalità e capacità di essere fecondati. Tecniche simili sembrano avere migliori risultati quando applicate agli embrioni e agli spermatozoi. Diversi centri medici specializzati nella ricerca sulla fecondazione assistita, pertanto, raccomandano la congelazione degli embrioni cosiddetti “soprannumerari”.
 
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